Una riflessione estiva sul senso della vita (e passaggio di consegne al CDV)
L’estate è tempo, tra le altre cose, di riflessioni. Anche, come è giusto che sia, sulla vocazione, sulla fede. Questo scritto, che vale un po’ come mio commiato da referente del Centro Diocesano Vocazioni, l’ho pensato come una lettera – conversazione con un mio ipotetico coetaneo, magari padre di famiglia, che, come tutti, si trova alle prese con interrogativi sulla vita.
Colgo anche l’occasione per formulare i migliori auguri di buon inizio a don Francesco Cortellini, vicerettore del Seminario Vescovile, che da settembre prenderà il mio posto al CDV e che già da tempo collabora attivamente alle iniziative sia per gli adolescenti (pozzo di Giacobbe), sia per i giovani (gruppo Samuele).
Buon lavoro don Francesco, buona lettura ed arrivederci a tutti!
Caro amico,
non ci siamo mai visti personalmente, ma, anche se ti sembrerà strano, credo di conoscerti un po’, perché anche tu sei un uomo di questo tempo. Ed è per questo che ti chiamo amico: abbiamo molto in comune. Senz’altro, più di quel che pensi. Certamente, in questo periodo più ancor che in altri, hai tante domande e poche risposte: il perché della pandemia, il perché della guerra; la ragione per cui molte cose, date per assodate nel passato, non sono più così scontate; il motivo per cui le persone sembrano faticare sempre di più ad andare d’accordo. E poi, ma forse qui stiamo davvero un po’ esagerando, quella grande domanda (che forse è meglio lasciare agli specialisti?) sul che cosa ci stiamo a fare in questo mondo.
La domanda, è vero, c’è sempre stata. Molti se ne sono occupati, ognuno trovando una sua soluzione. Magari anche tu te la sei posta, a più riprese, nella vita. Forse, in qualche “passaggio di fase”. Forse, in momenti particolarmente delicati. Ma poi, passata l’urgenza, come fanno in tanti, hai sempre finito per accantonarla, per rimetterla nel cassetto: in fin dei conti che elementi abbiamo per dare una risposta definitiva?
Però, ultimamente, questa domanda sembra acquistare forza, spalleggiata da quelle altre, forse di portata generale inferiore, ma di urgenza pratica evidente, di cui dicevamo prima. Anche i figli, a volte, sembrano essere sul punto di porre domande imbarazzanti, ma poi desistono (e tu magari gliene sei segretamente grato) perché hanno già intuito che tu una risposta non ce l’hai, che ti metterebbero inutilmente in imbarazzo e che tanto vale lasciar perdere. Così, anche le conversazioni casalinghe si attestano sui rassicuranti toni della normalità, ma potremmo dire della banalità, per non dover scomodare questioni che potrebbero, a loro volta, scomodare noi.
Questo stato di cose è andato avanti per anni. Era insoddisfacente, e lo sapevamo tutti, ma, tutto sommato, comodo: esentava dal doversi mettere seriamente in ricerca. Dopo tutto, la vita va avanti lo stesso. Male, potremmo dire oggi, ma va avanti. Una vita, diciamolo pure, che ha paura di domandare, perché tutto sommato ha paura di non trovare nulla, o, peggio ancora, di trovare qualcosa di scomodo. Una vita che, in definitiva, ha paura di se stessa, ha paura di vivere.
Ti sta bene questa vita? Ritieni di poterla portare avanti? La finzione è in grado di reggere? Se la risposta è sì, possiamo proseguire la nostra conversazione parlando del caldo, dello sport, del governo, dei casi di Covid, della pioggia che non arriva ed altre amenità. Ci troveremo senz’altro d’accordo su alcuni luoghi comuni, ci daremo ragione a vicenda e archivieremo il nostro incontro nella categoria più affollata della nostra vita, già piena di faldoni: quella degli incontri innocui, ma inutili.
Ma per una volta, invece, potremmo anche rischiare di uscire un po’ dal seminato e arrischiarci per un sentiero poco battuto. Cosa abbiamo da perdere? Cosa rischiamo? Lo smarrimento? Ma la società di oggi c’è già dentro fino al collo e non sarebbe davvero una novità. Forse, più che da perdere qualcosa, abbiamo da guadagnare. Senz’altro, un confronto. Magari, uno scambio di idee. E siccome dicono che quattro occhi vedano meglio di due (e che due cervelli pensino meglio di uno), può anche essere che la ricerca porti a qualcosa di buono. Che cosa? Intanto, il tentativo di prendere la vita sul serio. A non rassegnarsi a vivere del banale.
Ma, potresti obiettare, siamo sicuri che esista qualcos’altro, oltre al livello della banalità? Io credo di sì. Da sempre, nella storia dell’uomo, ci sono state persone che hanno rischiato grosso, che hanno dato la vita per qualcosa più grande di loro. Quando hanno pagato di persona (e non hanno fatto pagare agli altri il prezzo delle loro sperimentazioni), secondo me hanno sempre fatto bene. Hanno raggiunto l’obiettivo, che fosse o no quello che si aspettavano all’inizio. Hanno perso la vita? In alcuni casi sì, ma hanno senz’altro conservato (e anzi aumentato) la dignità. Hanno visto i loro ideali crollare? In ogni caso, il meglio che avevano dentro, lo hanno espresso. Sono stati osteggiati, derisi, ostracizzati? Se non altro, hanno dimostrato di avere carattere.
Oggi cosa potrebbe voler dire questo coraggio di osare, questa disponibilità a cercare, questa voglia di non rassegnarsi al minimo sindacale e di spegnersi lentamente? Tanto per cominciare, il coraggio di ribellarsi. Allo squallore, al conformismo, alla rassegnazione di chi preferisce avere torto insieme alla massa, piuttosto che rischiare di trovarsi ad aver ragione in un piccolo gruppo. Poi, per proseguire nelle ipotesi, si potrebbe anche accettare di arrabbiarsi, di indignarsi, di riconoscere che, a volte, quando ci guardiamo allo specchio, ci facciamo (un po’) schifo, perché vediamo riflesso il volto di un pusillanime, che ha preferito addormentare la coscienza, piuttosto che rischiare di vederla soffrire. Ma il sangue di una ferita è sempre preferibile allo spegnimento lento ed inesorabile di un’eutanasia.
Si potrebbe, insomma, lasciar risvegliare quella voglia di grandezza, quel desiderio di qualcosa di più, quella aspirazione a un livello più nobile che, per quanto possa sembrare strano a sentirsi, è ancora alla nostra portata. Potremmo allora scoprire che, radicalizzando al massimo l’alternativa che ci si pone davanti, la scelta è tra la banalità e l’infinito.
La banalità significa raschiare il fondo, godere finché si può e poi soffrire in tempi di carestia (come questi), darsi ragione a vicenda sapendo di avere torto tutti quanti, sviluppare una particolare abilità nel trovare sempre un nuovo capro espiatorio per le proprie frustrazioni.
L’infinito significa invece accettare di fare un passo indietro (di umiltà) per farne cento in avanti; accettare di farsi aiutare da Qualcuno più grande di noi; riconoscere i propri sbagli e le proprie meschinità, meravigliandosi allo stesso tempo che non siamo condannati a ripetere questo schema; lasciare che un pianto catartico faccia piazza pulita di tutte le nostre piccole e grandi vigliaccherie per lasciare spazio al risveglio del desiderio sano, di una Speranza con la “s” maiuscola, di un progetto pensato in grande che, per il fatto di non essere completamente nostro (anzi, proprio per il fatto di essere nostro solo in minima parte) ha più garanzie di successo di quanto osiamo immaginare.
Magari, caro amico, ragionando insieme, potremmo accorgerci che, se la vita di un uomo consiste in un equilibrato dosaggio di coraggio e meschinità, di nobiltà e miserie, magari tutti noi (non solo tu ed io, intendiamoci) forse abbiamo un po’ troppo indugiato sulle prime e non abbastanza sulle seconde.
Insomma, ragionando insieme potremmo anche avere un soprassalto di orgoglio, quello vero e sano, che non è spocchia, non assomiglia alla superbia, ma è semplicemente il rivendicare un sacrosanto diritto al quale nessuno dovrebbe rinunciare: il diritto a vivere, senza accontentarsi di sopravvivere.
La strada del vivere è quella che ci indica Dio. E’ quella che, come umanità, la maggior parte delle volte abbiamo rifiutato, ritenendola troppo impegnativa, o coercitiva, o comunque non abbastanza rispettosa della nostra individualità. Bene, anche ammesso che fosse vero, direi che l’alternativa, ormai, l’abbiamo sperimentata. Fino in fondo. Ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Ora tu ed io, caro amico (ma non poniamo limiti alla Provvidenza, l’invito è aperto a tutti), possiamo imboccare l’altra parte del bivio, abbandonando la navigazione a vista ed accettando qualche consiglio di chi il territorio lo conosce bene, per il fatto di esserci vissuto di persona e di non essersi limitato a dispensare saggi consigli, ma di essersi messo alla prova alla stregua di tutti gli altri. Questa persona, come quelle di cui dicevamo prima, apparentemente è finita male. Ma la sua scelta ha aperto una strada che è stata la Salvezza per tutti. Un tentativo per seguire il Suo esempio, secondo me, vale la pena farlo. E, se sei d’accordo, potremmo provare a farlo insieme.
Con amicizia.
Don Davide