Sinodo giovani, qualche prospettiva per il futuro

Il sinodo giovani da poco concluso si presta a diverse considerazioni di tipo vocazionale, non solo perché la vocazione stessa è stato un tema molto dibattuto (anche al di là di ogni aspettativa) all’interno delle assemblee. Esistono almeno quattro prospettive da cui è possibile cercare di trarre insegnamenti da questa straordinaria assise di giovani credenti.

La prospettiva degli adulti

La lettera post – sinodale del Vescovo pone come obiettivo esplicito, fra gli altri, quello di formare adulti in grado di aiutare i ragazzi a comprendere la propria strada.  In che maniera, dunque, si può realizzare questo mandato?

Una delle letture che sembrano emergere dal sinodo è la constatazione di una gioventù a volte propositiva, ma spesso indecisa, la cui indecisione pare a sua volta essere fortemente correlata all’incertezza degli adulti. Se questo è vero, sembra non azzardato affermare che, in effetti, la presenza di adulti maggiormente sicuri delle proprie convinzioni (e, quindi, percepiti come “autorevoli”, se non si vuole usare l’espressione “modelli da imitare” o “esempi da seguire”) potrebbe influire positivamente sull’orientamento delle giovani generazioni.

Il problema, però, si sposta allora sulla condizione stessa degli adulti, che paiono intimiditi, timorosi di comunicare dei punti fermi ai ragazzi… Forse perché temono di sentirsi rinfacciare una coerenza non sempre adamantina con questi princìpi…. O magari anche perché i punti fermi tendono a non vederli nemmeno loro.

Se l’analisi è corretta, allora una possibile linea di azione, per gli adulti, sulla scia del sinodo, potrebbe essere un cammino di riscoperta della propria vocazione, dei propri punti fermi, delle proprie convinzioni. Solo così l’essere testimoni di fronte ai giovani diventerà naturale e spontaneo, anziché rivestire i connotati di una recita forzata per la quale non ci si sente portati.

La prospettiva dei giovani (sinodali e credenti in generale)

I giovani, al sinodo, hanno chiesto di essere accompagnati. Si sono detti piacevolmente sopresi dell’attenzione loro ricolta dalla Chiesa e hanno riconosciuto di avere un gran bisogno di cammini formativi, di proposte educative. Sono consapevoli delle proprie fragilità e domandano autenticità alla Chiesa ed al mondo degli adulti. Non hanno espresso forse più di tanto il desiderio di diventare testimoni di fronte ai loro coetanei non credenti, o al mondo in generale: la priorità, per il momento, sembra essere l’irrobustimento della propria fede e la prosecuzione di un dialogo con la Chiesa.

Stando così le cose, però, i giovani devono tener fede ai desideri espressi nella sede sinodale. In concreto, essere presenti alle proposte formative che con decisione invocano. Non evitare le domande scomode (e le relative risposte che potrebbero giungere) che loro stessi a più riprese hanno posto. Volgere a loro vantaggio l’attenzione che la Chiesa ha deciso di dedicar loro, dimostrando di non essere destinatari passivi di iniziative preconfezionate, ma diventare protagonisti nella co-progettazione di cammini personalizzati.

Tutte queste considerazioni valgono, naturalmente, per coloro che, come i giovani sinodali, sono già vicini alla Chiesa e alla fede. Per tutti gli altri, che per i motivi più vari non hanno ancora percepito un bisogno di questo genere o l’hanno soddisfatto per altre vie, l’auspicio è che mantengano comunque viva una sete di verità, che è il terreno primario per il germogliare ed il fiorire di qualunque discorso di fede.

La prospettiva delle comunità cristiane

Per le comunità cristiane (parrocchie, oratori, associazioni, gruppi di ispirazione cristiana), dopo il sinodo, l’impegno e la sfida sono quelli di considerare i giovani non come interlocutori occasionali, ma come “termometro permanente” dei segni dei tempi e “partner a pieno titolo” per le decisioni riguardanti il cammino ecclesiale. La domanda da porsi costantemente è: stiamo andando avanti per inerzia, o teniamo conto delle esigenze di chi, per ragioni anagrafiche, si trova pienamente nel vortice della vita ed è a massimo contatto con la realtà? Stiamo perpetuando le nostre abitudini, oppure cercando di intercettare i veri bisogni della gente, bisogni dei quali i giovani, anche se a volte, magari, con modi irruenti o eventualmente anche un po’ scomposti, sono gli interpreti più autentici?

Ma, soprattutto, la domanda essenziale per le comunità ecclesiali potrebbe suonare così: al di là delle esigenze espresse dai giovani sinodali, che chiedono un accompagnamento (e devono però anche dimostrare di apprezzarlo quando viene loro offerto), è evidente che l’universo giovanile in generale (comprendente anche e soprattutto gli “extra – sinodo”) è piuttosto restio a essere contattato e a lasciarsi coinvolgere in iniziative riguardanti la fede. Di fronte a questo stato di cose, ci lasciamo scoraggiare, la consideriamo una partita persa, oppure continuiamo il paziente lavoro di semina che ci spetta, senza pretendere ad ogni costo risultati a breve?

La prospettiva dei formatori (catechisti, accompagnatori, operatori pastorali)

Nel formulare proposte per i giovani, ci limitiamo a convocarli, o siamo disposti ad andarli a cercare? Diamo per scontato che ascoltino il nostro messaggio, o abbiamo la pazienza di sentire qualche racconto della vita che conducono? Siamo propensi alla stigmatizzazione dei loro stili di vita così diversi dai nostri, o cerchiamo, per quanto è possibile, di metterci nei loro panni per comprendere la genesi delle loro scelte e le motivazioni del loro linguaggio?

Intendiamoci, in alcuni casi può darsi che le proposte formative sottoposte ai giovani tengano già conto di queste riflessioni e si presentino con contenuti solidi, una forma accattivante, uno stile coinvolgente, un atteggiamento umile. A volte, magari, l’unica cosa che manca è proprio la presenza dei giovani. Anche questa eventualità può presentarsi, ed in questo caso l’ultima carta da giocare (carta che, in realtà, dovrebbe essere anche la prima, e comunque andrebbe giocata sempre) è la preghiera.

Occorre cioè pregare per i ragazzi che chiamiamo ai nostri incontri, che speriamo di intercettare, di cui ci sforziamo di capire le dinamiche. Magari, all’incontro del gruppo giovani non li vedremo comunque. Ma, almeno, avremo la coscienza pulita di chi ha seminato con impegno. Se, poi, non saremo noi a raccogliere, in un’ottica evangelica forse questo esito è pure più meritorio e quindi addirittura preferibile.

don Davide

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