Vocazione, una scelta “logica”

Pubblichiamo l’intervento di don Davide del CDV di Cremona sul numero di giugno di “Chiesa in  Cammino” (il periodico del Seminario Vescovile

Vocazione: un biglietto “ordinario” per la felicità

Per quanto si possa riflettere sulla vocazione, non si riesce mai a togliere, a questa parola, un certo “alone” di eccezionalità che da sempre la connota. Quando non si tratta di fastidio, comunque è sempre una sorta di timore reverenziale a permeare le reazioni che tale idea suscita.

E’ pur vero che l’aspetto più visibile alla gente, cioè il numero di persone che sembrano aver ufficialmente aderito ad una vocazione, con la sua esiguità, sembra avallare una interpretazione simile.

Ma noi possiamo provare, almeno nelle nostre teste, a cambiare le cose, attraverso un semplice ragionamento. Proviamo a vedere se le seguenti affermazioni, che dipendono l’una dall’altra, stanno in piedi. Se così è, la vocazione dovrebbe diventare un fatto “normale”. Se, invece, anche una sola di esse non regge, fa cadere anche tutte le altre e allora siamo veramente autorizzati a trattare la vocazione come un caso speciale, riservato a pochi eletti.

Dunque. Dio, da sempre, manda segnali all’umanità, per il suo bene. La Bibbia descrive tutti gli sforzi del Signore per educare il Suo popolo. Sempre nelle Bibbia, vediamo che tutte le volte che il popolo ebraico ha ascoltato Dio, gliene è venuto del bene, viceversa ha avuto grandi problemi quando ha fatto il contrario. La stessa cosa possiamo constatare noi, nella nostra esperienza personale: la fedeltà al Vangelo, anche quando ci ha richiesto molto, non ci ha mai “traditi”: sfidati, sì, ma sempre in vista di un bene maggiore. Possiamo quindi dire che Dio “chiama” a cose impegnative, ma che non si tratta mai di un imbroglio. Seguire la propria coscienza, attraverso la quale Dio ci parla, perciò ci conduce a compiere scelte che, portandoci su di un piano superiore, avvicinano a Dio e realizzano il nostro bene. Rispondere di sì a tali stimoli dovrebbe quindi essere naturale, rappresentare la “normalità” per un cristiano.

Il ragionamento fila? Rimane in piedi? Oppure ha qualche anello debole che ne inficia la validità? A me sembra che l’impianto tenga. Se così è, allora possiamo tranquillizzarci sull’idea di vocazione. Ascoltare la propria significa dunque accettare il suggerimento di Gesù di provare ad imitarlo; rinunciare alla via più facile, anche se meno etica; non ignorare il senso di inadeguatezza che abbiamo dentro, quando facciamo qualcosa di sbagliato; non mettere limiti alla nostra voglia di essere conformi a Cristo; non guardare con sospetto le pagine di Vangelo più impegnative; essere onesti con noi stessi quando sentiamo che una certa frase della Buona Novella è rivolta proprio a noi.

Per un cristiano, la vocazione è, in altre parole, un invito alla coerenza. Rispondere di sì a piccole o grandi chiamate vuol dire trarre le logiche conseguenze da un’immagine di Dio che ci ama e che non ci imbroglia. Magari, così, la vocazione fa un po’ meno paura. Appare un po’ più “logica”.

Ma possiamo provare a tradurla in una maniera ancor più convincente. Dio ci ha preparato un posto, su misura, nel Suo Regno, che, al momento, magari non ci piace tanto perché abbiamo paura di perdere qualcosa. Temiamo di perdere, perché non sappiamo bene quanto è grande ciò che troveremo. Conoscendo il Signore poco a poco, impareremo a fidarci, il timore diminuirà e comprenderemo la vera funzione di quel posto personalizzato che Lui ha pensato per noi: diventare felici ed aiutare gli altri ad esserlo altrettanto. Insieme a Lui.

 

Don Davide Schiavon

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